Modesta proposta per prevenire morti, illegalità e rilevanti costi umani ed economici determinati dalla migrazione dall’Africa di Roberto Del Buffa IL PROBLEMA: Decine di migliaia di persone in fuga sono arrivate in Italia, si apprestano a farlo o lo stanno tentando, partendo dalle coste della Libia per sbarcare nel punto di accesso più vicino ai ricchi paesi europei. Nel 2016 sono arrivati circa 180.000 migranti, un dato che non sarà replicato, per i motivi che spiegheremo, nel 2017. Il traffico di migranti è in mano alla criminalità che, per soldi, organizza viaggi di fatiscenti imbarcazioni dalla Libia verso la costa italiana. Su questi barconi, stipati all’inverosimile, naviga un’umanità disperata, in fuga dalla propria casa nella speranza di migliori condizioni di vita. Quasi sempre i barconi si rivelano inadatti a superare il tratto di mare che separa la Libia dall’Italia e comunque, anche nel caso di un positivo approdo, ogni viaggio conta sempre qualche morto a causa dell’affollamento, del caldo o delle gravi ustioni dovute al contatto con il carburante e l’acqua di mare. Per ridurre le vittime in mare, prima l’Italia da sola, poi l’Unione Europea con l’agenzia Frontex e infine numerose organizzazioni non governative (ONG), hanno elaborato strategie di soccorso in mare che, nel tentativo di ridurre il numero di morti, hanno portato i soccorsi sempre più vicine alle coste libiche. La prolungata presenza di navi, aumentando la percentuale di barconi intercettati e quindi di migranti salvati, ha spinto i trafficanti a utilizzare imbarcazioni sempre meno affidabili e sempre più cariche. Così il numero di morti, invece che diminuire, è rimasto stabile: oltre 5.000 quelli accertati nel 2016, ma c’è da ritenere che quelli reali siano ancora di più. In base alle norme del diritto internazionale e alla legge italiana, hanno diritto d’asilo nel nostro paese solo gli stranieri che possono rivendicare lo status di rifugiati, cioè coloro ai quali, nei loro paesi, sia impedito “l’effettivo esercizio delle libertà democratiche” (art. 10 comma 3 della Costituzione). Viceversa i migranti che arrivano in Italia per motivi legati alla povertà e alla fame non avrebbero il diritto di fuggire dalle loro insopportabili condizioni di vita. Si potrebbe però osservare che una situazione in cui una persona su 4 soffre di denutrizione e la mortalità infantile è tale che un bambino su 8 muore prima di compiere 5 anni (sono i dati dell’Africa sub sahariana) costituisce in sé una violazione dei diritti umani. Per le difficoltà di accertare l’identità dei migranti e la loro reale provenienza, il riconoscimento dello status di rifugiato è concesso a una percentuale minima, inferiore del 10%, dei migranti. Quelli riconosciuti come rifugiati ottengono i documenti che consentono la libera circolazione nell’Unione Europea e di solito si stabiliscono nel paese d’Europa che garantisce loro maggiori diritti e opportunità. La Svezia, su un totale di meno di 10 milioni di abitanti, ospita 230.000 rifugiati, l’Italia, con oltre 60 milioni di abitanti, ne ospita 150.000. Tutti gli altri migranti in teoria dovrebbero essere rispediti nel paese di origine, a parte i minori non accompagnati, a cui spettano particolari tutele. In realtà i rimpatri sono pochissimi e i migranti cui non viene concesso lo status di rifugiato fanno perdere le loro tracce dopo aver fatto ricorso alla sentenza di primo grado. C’è unanimità nel considerare la situazione non più sostenibile, tuttavia non sempre per le stesse ragioni. Per una parte importante dell’opinione pubblica italiana il primo problema sembra essere quello della sicurezza personale. Molti cittadini si sentono minacciati dalle correnti migratorie, anche se le statistiche del Ministero degli Interni sui crimini commessi, sembrano indicare che si tratti di una percezione sbagliata. Le cose per me inaccettabili sono invece: i 5000 morti annui (stima per difetto) nel tentativo di raggiungere l’Italia, l’arricchimento di criminali sulla pelle dei più deboli (che in questa storia sono i migranti, non i cittadini italiani), i costi sempre crescenti delle operazioni di salvataggio, la difficoltà di organizzare l’accoglienza, che crea disorientamento nell’opinione pubblica, sapientemente sobillata da una classe dirigente che, nella migliore delle ipotesi, non è all’altezza del compito, ma più spesso è costituita da loschi individui che sfruttano le reazioni meno nobili della popolazione per i loro interessi elettorali: un comportamento che gli storici futuri non avranno grande difficoltà a classificare fra quelli più moralmente esecrabili della storia politica italiana (una storia non edificante che, per intenderci, ha conosciuto leggi razziali, collusione con le organizzazioni criminali, strategie della tensione, corruzione, eccetera). RIMEDI PEGGIORI DEI MALI: Il prime rimedio proposto consiste in uno slogan che raggiunge i vertici dell’ipocrisia: “aiutiamoli a casa loro”. A parte il fatto che i primi a proporlo (governo Berlusconi con ministri leghisti in prima fila) furono gli stessi che azzerarono di fatto le spese per la cooperazione internazionale, riempiendosi la bocca di promesse mai mantenute, il problema è che una politica di investimenti nei paesi di provenienza dei migranti è molto difficile da realizzare a causa degli interlocutori politici locali. Aiuti indiscriminati spesso non determinano alcun miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, anche nell’ipotesi che siano opportunamente indirizzati alle ONG, non sempre attive su territori ad alta pericolosità e comunque costrette a trattare in condizione di inferiorità con regimi ad alto grado di inaffidabilità e corruzione. In secondo luogo i migranti “casa loro” spesso non ce l’hanno più, anche per responsabilità diretta o indiretta dei paesi verso cui fuggono. È il caso degli investimenti delle grandi imprese internazionali, interessate a sfruttare le risorse di un paese in funzione dei nostri ricchi mercati, senza tener in nessun conto le esigenze della popolazione locale, di cui è un esempio la diffusione di coltivazioni finalizzate alla produzione di biocarburanti che ha espulso dalla propria terra migliaia di contadini. Inoltre l’andamento climatico, con l’aumento delle temperature medie, sta incrementando la desertificazione di ampie aree dei paesi più poveri, con la conseguenza di rendere inabitabili molte delle “case loro” in cui dovremo aiutare le popolazioni migranti. Infine sarebbe bene rendersi conto che, con gli investimenti ipotizzabili in una fase di crescita economica lenta, come l’attuale, lo sviluppo di un paese non solo non sarebbe garantito, ma sarebbe comunque un processo lungo, misurabile nell’ordine dei lustri e non dei mesi. Un secondo rimedio, più efficace, ma eticamente assai discutibile, è quello di mantenere delle specie di zone cuscinetto, fuori dell’Europa (in questo caso dell’Italia), in cui collocare i migranti, non permettendo loro, nella maggioranza dei casi anche attraverso la coercizione, di raggiungere i confini europei. È quello che è stato fatto sulla frontiera orientale, che centinaia di migliaia profughi delle zone di guerra della Siria, dell’Irak e dell’Afghanistan, hanno provato a raggiungere. Attraverso un accordo molto oneroso con la Turchia, l’Unione Europea ha bloccato migranti e profughi sul territorio turco. Attualmente oltre due milioni e mezzo di profughi siriani vive in Turchia. La situazione umanitaria è drammatica e l’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati (UNHCR) denuncia ripetute violazione dei diritti umani operata dalla Turchia nei confronti dei profughi. L’UE versa tre miliardi di euro all’anno alla Turchia come contributo per i costi connessi con il blocco della migrazione verso la costa greca e per aver accettato di riaccogliere i migranti che non hanno ricevuto dalle autorità greche lo status di rifugiato. È il modello che il governo italiano, in particolare il Ministro Marco Minniti, ha replicato in Libia. Alla data in cui sto scrivendo questo articolo, la guardia costiera libica ha fermato e riportato a riva, in circa due mesi, oltre 10.000 migranti. Inoltre, con l’aiuto della nave officina italiana inviata a Tripoli, si stanno moltiplicando le navi militari libiche in servizio in una fascia costiera che supera i confini territoriali per estendersi ad acque internazionali, da dove la Libia ha espulso le navi di soccorso delle ONG, talvolta anche con la forza dei proiettili. Al governo, con il ministro Minniti in prima fila, sembra dunque di aver trovato una soluzione efficace, ma vorrei spiegarvi perché non è così. In primo luogo la spesa necessaria a percorrere questa strada è improduttiva, non serve a migliorare le condizioni dei profughi, ma finanzia direttamente il governo con cui viene fatto l’accordo. Nel caso della Turchia, per esempio, solo 300.000 profughi siriani sono accolti nei campi, mentre la grande maggioranza si è arrangiata cercando una soluzione provvisoria, molto spesso illegale. La Turchia non riconosce lo status di rifugiati ai profughi siriani, per cui i permessi di lavoro sono difficili da ottenere e l’acceso all’istruzione dei bambini, per quanto formalmente concesso dalle autorità turche, è difficile fuori dei centri. Secondo una stima dell’Unicef, un bambino siriano su dieci lavora per sei o anche sette giorni alla settimana e per più di otto ore al giorno. Se questo è il caso della Turchia, uno stato moderno e democratico, per quanto governato da un regime autoritario, pensate che cosa possa diventare l’accoglienza dei profughi in una situazione come quella libica, in cui il governo riconosciuto dall’Onu controlla solo una parte della costa, il territorio è scosso da una guerra civile, spesso condotta per bande, e le condizioni di sicurezza, anche per un cittadino libico, sono precarie. Attualmente non ci sono campi per i migranti in Libia, ma, come ha raccontato l’inviato speciale dell’Unhcr, solo prigioni, alcune controllate dalle autorità, altre da milizie e trafficanti; in tutte vi sussistono condizioni orribili. I profughi fermati dalla guardia costiera libica sono stati arrestati e, come denunciato da Amnesty International e Human Rights Watch, ci sono precedenti di persone detenute in condizioni tali da esporle a un concreto rischio di torture, violenze sessuali e lavori forzati. Come cittadino italiano, mi ripugna il fatto che una tale situazione possa verificarsi con il concorso, o almeno il consenso, del governo del mio paese. UNA MODESTA PROPOSTA: Ma questo articolo non vuole limitarsi a denunciare una situazione, ma vuole proporre anche una soluzione, forse un po’ provocatoria, ma non priva di coerenza. Se ogni anno arrivano in Italia 180.000 persone, allora, considerando 300 giorni di possibile navigazione nel Mediterraneo, ogni giorno vengono trasportati dagli scafisti 600 migranti. Cosa ci vieta di allestire due traghetti di medie dimensioni che facciano regolarmente la spola fra la costa libica e l’Italia? I costi sarebbero in parte ripagati dai risparmi della missione di intercettamento e tutti i trasportati sarebbero più facilmente identificati all’imbarco o almeno durante il viaggio, che si concluderebbe non nel primo porto disponibile, ma in quello logisticamente più idoneo all’accoglienza. In passato l’Italia ha garantito vitto e alloggio a leve militari di circa 200.000 coscritti, si tratta di recuperare quella capacità organizzativa per metterla al servizio di un ideale più alto, quello del salvataggio di uomini che scappano dalla fame, dalla malattia, dalla povertà, oltre che dalla guerra e dalla metodica violazione dei loro diritti. Questo sistema di accoglienza non esclude di intervenire nei confronti dei migranti con i provvedimenti (compresa l’espulsione) previsti dalla legge per chi non rispetta la legalità. Questo sistema non esclude neppure che l’Italia rivendichi nei confronti dell’Europa il rispetto degli accordi sulla ricollocazione dei rifugiati. Riduce invece, anche se non può escludere del tutto, il numero dei morti nel Mediterraneo, sottrae alla criminalità un lucroso mercato, riducendo i costi umani ed economici di un fenomeno (quello della migrazione dei popoli) che, dovremo saperlo, nessuno nella storia ha mai saputo impedire. |